Mi chiamo Maria, ho 33 anni e ho la talassemia mayor.
Sono la prima di tre figli. Mio fratello, 31 anni, come me è talassemico, mentre mia sorella, 17 anni, è completamente sana. I miei genitori – mia mamma della Campania e babbo della Basilicata – sono entrambi portatori sani di Talassemia, ma ne erano ignari quando siamo nati io e mio fratello. Così, quando sono arrivata io non sapevano che fossi ammalata. Lo hanno scoperto quando nacque mio fratello. Mio nonno mi portò in ospedale a conoscerlo, lì un medico ci fermo e gli disse di farmi fare dei controlli perché ero troppo pallida.
Dopo qualche giorno scoprirono che, sia io che mio fratello appena nato, eravamo entrambi talassemici. Iniziai subito a fare le prime trasfusioni di sangue, mentre mio fratello cominciò dopo il primo compleanno. Inutile dire che non è stato facile per i miei genitori ritrovarsi – 20 anni l’uno e 29 l’altro – con due bambini talassemici.
Le cure di quegli anni non erano avanzate come quelle di oggi. A quei tempi i ferrochelanti – i farmaci necessari a eliminare il ferro in eccesso che si deposita, a causa delle continue trasfusioni di sangue, negli organi vitali come cuore, fegato e polmoni – si facevano solo sottocute, con una ingombrante macchinetta che aveva aghi a farfallina. Ogni volta che il filo dell’ago si piegava la medicina non passava, la macchinetta suonava e babbo o mamma dovevano alzarsi ad aggiustarla. Anche più volte a notte. Poi, grazie alla ricerca, furono fatti dei passi avanti. Così arrivarono i primi chelanti orali, delle pasticche semplici da mandare giù. All’inizio fu una lotta farle arrivare anche in Italia. Alla fine però ci riuscimmo. Ma i continui buchi per le trasfusioni ci facevano ancora soffrire. Così mia madre si faceva mandare, da mio zio di Roma, una crema anestetizzante comprata nella farmacia del Vaticano. Grazie a quella crema, quando ci facevano i vari buchi per prelievi e trasfusioni, pativamo meno. Mio padre, ricordo, lavorava di notte per poi di giorno portare me e mio fratello in ospedale, finché anche mia madre prese la patente.
Quando è nata la nostra piccola sorellina – dopo 16 anni dalla mia nascita – è stato un miracolo: completamente sana e potenzialmente compatibile, sia con me, sia con mio fratello, per un possibile trapianto. Possibile, ma in realtà non praticabile per i troppi rischi che ci sarebbero stati. Purtroppo le cellule staminali sarebbero bastate solo per uno di noi due. Inoltre, c’era la paura per i rischi che il trapianto in ogni caso prevedeva. Così, abbiamo scelto il percorso duro – né io né mio fratello abbiamo fatto il trapianto – che però ci ha unito tanto.
Oggi, mio fratello è un cantante bravissimo, vive per conto suo, fa più di un lavoro ed è amatissimo da tutti per la sua bontà e la sua forza.
Io ho coronato il mio sogno: sono sposata e ho una bellissima bambina di 2 anni e mezzo, Emma. Lei ha una talassemia intermedia – una forma di Talassemia un po’ diversa rispetto alla major – perché mio marito, Michael, è portatore sano di alfa talassemia.
Quando io e Michael decidemmo di provare ad avere un figlio, abbiamo fatto tutte le analisi del caso che ci hanno portato a questa “sorpresa”. Ma non ci siamo scoraggiati. Non abbiamo mai pensato di non portare avanti il nostro progetto di vita insieme, il nostro progetto di famiglia. Io ho sempre voluto fortemente un figlio e dopo tanta attesa ci sono riuscita.
Scrivo dopo tanta attesa perché i miei genitori sono sempre stati molto scettici su questo argomento. Hanno sempre tenuto me e mio fratello come sotto una campana di vetro. E un po’ adesso li capisco, ma il mio desiderio di maternità superava ogni cosa, anche i loro dubbi.
Mamma ha avuto due interruzioni di gravidanza, tra un figlio e l’altro, di cui una volontaria perché anche in quel caso il bimbo era affetto da talassemia major. Durante la mia gravidanza non ho fatto nessun esame prenatale, perché qualsiasi cosa ci fosse stata l’avrei portata a fine. Certo, oggi rispetto agli anni ’80, quando sono nata io, le cose sono per fortuna nettamente migliorate.
Quindi, per certi versi, comprendo i miei genitori, coprendo cosa possano aver provato e pensato. Ma oggi, non condivido la loro scelta. Sono passati 30 anni da allora, le cure sono più efficaci, più facili e meno invasive. Oggi la vita di un talassemico è una vita normale, solo un po’ più impegnata. Si può viaggiare, lavorare, avere una famiglia, fare sport e diventare chi vogliamo. Penso, con sconforto, che se ci fosse stata la diagnosi prenatale, anche quando siamo nati io e mio fratello, probabilmente non sarei qui a scrivere questa mia testimonianza. Questo pensiero mi da’ l’ansia. Invece, per fortuna, sono qui, e sto vivendo la vita che ho sempre desiderato con una famiglia e una figlia bellissima che mi da’ tante soddisfazioni.
Potrei scrivere un libro sulle vicende che ci sono successe. Racconto la mia storia per far capire come le cose oggi siano cambiate grazie ai progressi della ricerca scientifica. Per far capire – magari a dei genitori portatori sani di Talassemia, che oggi si trovano a farsi delle domande – che la talassemia non è più una malattia inaffrontabile! Che anche con la Talassemia si può vivere una vita piena e felice come la mia.